Il diesel resta la prima opzione ma l’auto a benzina rialza la testa

di Salvatore Saladino

I minori costi di gestione e l’assenza di piani di incentivi per le motorizzazioni alternative rallentano la riconversione: c’è un ritorno al passato e, come seconda scelta, l’acquisto di ibride
 

Allo stato attuale della tecnologia, costi d’esercizio e responsabilità ambientale non vanno d’accordo. È come una coperta troppo corta: se la tiri da una parte, si accorcia dall’altra. Il forte ridimensionamento delle vendite di auto a gasolio, penalizzate dalle norme di circolazione in ambito urbano e, nel medio o lungo termine, condannate all’estinzione da leggi ambientali più demagogiche che sensate, stanno portando gli automobilisti a optare a favore di alimentazioni alternative. In realtà la vera alternativa si sta dimostrando essere quella più tradizionale: i modelli a benzina, con un netto peggioramento delle emissioni. Relegando ibride, elettriche e auto a gas, a quote di mercato ancora marginali, nonostante le percentuali di vendita siano indubbiamente in crescita.
La dimostrazione di questo fenomeno è chiara osservando l’impennata verso l’alto della media delle emissioni di CO2 delle nuove immatricolazioni, che in Italia, per esempio, è cresciuta quest’anno di quasi 10 punti percentuali passando da 112,8 a 121,5 g/km. È la conseguenza diretta di scelte politiche e di comunicazione che hanno portato alla diminuzione delle vendite di diesel (60% di quota nel 2017, 55% nel 2018 e 46,5% quest’anno) a favore del benzina (29% nel 2017, 33% nel 2018, 41% nel 2019).
Nelle flotte aziendali la rinuncia all’auto a gasolio è fenomeno molto più lento, perché ha un impatto devastante sui costi di gestione, date le alte percorrenze medie degli utenti business e che il diesel è in assoluto il motore endotermico più efficiente di tutti e quello che consuma meno. Car policy più ecologiche fanno bene alla corporate social responsibility, un tema di grande attualità da oltre un decennio, ma fanno salire esponenzialmente il total cost of ownership. Non puntare più sul diesel significa un’immediata impennata della voce di spesa carburanti e un innalzamento netto delle emissioni medie di CO2. Nel lungo periodo, invece, l’impatto sui conti aziendali delle flotte potrebbe essere recuperato, perché i valori residui delle auto a gasolio scenderanno al di sotto di quelli delle alimentazioni alternative, ad eccezione delle elettriche, il cui costo di acquisto è ancora troppo elevato e il loro valore residuo un’incognita ancora più difficile da stimare.
In Italia la quota del diesel nel mercato business (le percentuali si riferiscono alle “True Fleets”, cioè i veicoli acquisiti direttamente dalle flotte o in noleggio a lungo termine) è scesa dall’80% del 2017 al 70% del 2018, con una leggera inversione di tendenza pari al 71,5% nei primi due mesi del 2019. I benzina sono invece passati dal 15% di due anni fa all’attuale 19%, mentre gli ibridi sono cresciuti dal 2 al 5% e i veicoli elettrici dallo 0,3 allo 0,6%. Il nostro Paese ha scontato l’assenza di un sistema incentivante da parte dello Stato ma l’ecobonus in vigore da marzo non farà la differenza vista l’esiguità di perimetro e budget.
Le flotte spagnole, per esempio, possono già contare su una quota di ibride significativa: l’8% sul totale delle immatricolazioni aziendali a fronte del 4% del 2017, con il diesel sceso dall’80% (come era in Italia) al 60% (11 punti in meno rispetto al nostro mercato) e il benzina arrivato a oltre il 27% (in pratica è raddoppiato).
Meno vigorosa la crescita dell’ibrido aziendale in Francia (attualmente è al 3,5%, rispetto al 2,3 del 2017), ma i transalpini possono contare su una quota di veicoli elettrici abbastanza significativa (quasi il 2%).
Mentre in Germania le ibride di flotta sono quasi triplicate, passando da meno del 2% di 2 anni fa al 5,8% di oggi (grazie soprattutto ai mild hybrid di produzione nazionale: le nuove motorizzazioni che si stanno diffondendo rapidamente), con l’elettrico che è arrivato al 2,2%. Però lo “zoccolo duro” del diesel resiste: 69% nel 2017, 63% nel 2018, 62% nel 2019. E i veicoli a benzina rimangono quasi stabili attorno a una quota del 30%.
Il caso Regno Unito è differente: l’apporto ecologico delle flotte è dovuto a una quota importante di ibride superiore al 6%, ma l’indice di crescita è più lento rispetto a quello degli altri Paesi del continente: nel 2017 le ibride erano già oltre al 4%. Però di questo 6% ben il 2% è costituito da ibride plug-in. Una percentuale non riscontrabile nelle altre nazioni (per fare un paragone, nelle flotte aziendali italiane sono allo 0,47%).