Car policy alla sfida ecologica

Il rebus alimentazioni. I fleet manager sono alle prese con la difficile scelta se cambiare o meno le strategie di mobilità. Cresceranno l’ibrido (in tutte le declinazioni) e la quota di auto a metano

 

L’ecobonus sulle auto a basse emissioni di CO2 entrerà in vigore il primo marzo (chiarito in ogni aspetto da un decreto interministeriale appena firmato), con il relativo coté di malus (operativo senza decreti attuativi). Quali le conseguenze sul mercato dell’auto e sulle scelte di mobilità delle aziende italiane? Come varieranno le car policy per gli utenti di auto aziendali? Scelte difficili, per i fleet manager delle imprese italiane.

La prima opzione è quella super-ecologica, che però, per la formula prevista dal bonus malus, premierà le vetture con emissioni inferiori a 70 g/km. Cioè , a oggi, una quindicina di modelli elettrici, con 4mila euro di bonus, ma con prezzi a partire dai 25mila di una Smart, e una decina di modelli ibridi plug-in con prezzo di listino inferiore ai 50mila euro più iva, ma superiore ai 35mila del modello base della Hyundai Ioniq, la meno cara del mercato, che ha diritto a un contributo statale di 1.500 euro).
La seconda opzione, tattica, è di concentrarsi nella “terra di nessuno” (né bonus, né malus): il limbo compreso tra i 71 e i 160 g/km. Con una precauzione da osservare con attenzione: occhio alle dotazioni di accessori a richiesta che possono aumentare il livello di emissioni di CO2 , a cominciare dalla misura di cerchi e pneumatici opzionali. Un’Alfa Romeo Stelvio 2.2 Turbodiesel 190 CV AT8 Q4, per esempio, che è proprio al limite dell’ecotassa, con una misura di cerchi più generosa (da 19” o da 20”) passerebbe sotto le forche caudine dell’ecotassa per 1.100 euro.

Cresceranno gli utenti di flotta che si convertiranno all’ibrido, anche a prescindere dall’ecobonus. Va considerato che pochissime aziende dispongono di un usato obsoleto (Euro 1-4) per poter ottenere un ulteriore bonus in cambio della rottamazione (mille euro sulle ibride plug-in e duemila sulle elettriche). Passare all’ibrido, però, significa fare un’analisi dettagliata su percorrenze e tipi di strada utilizzati: per chi passa ore al volante in autostrada, la scelta di un’auto ibrida porterà comunque a costi di gestione più elevati rispetto a un diesel. Autonomia a parte – e rete di distribuzione migliorata, ma ancora approssimativa –, il metano potrebbe costituire una scelta indicata per i macinatori di km, a patto che i costruttori mettano a disposizione dei clienti il nuovo prodotto (a gennaio le immatricolazioni di auto a metano sono crollate del 50% perché le nuove versioni Euro 6d-Temp sono in ritardo con le consegne).

Per le flotte, però, il 2019 sarà un anno di transizione: prima che la rinuncia al diesel coinvolga la maggioranza della clientela business dovrà passare parecchio tempo. Che succederà, allora, al mercato dell’auto? Il Governo ha stimato una diminuzione delle vendite di vetture con emissioni di CO2 superiori ai 160 g/km di circa il 3%. Nel 2018 sono state immatricolate 115mila auto con emissioni superiori a questo limite: ipotizzare di perderne soltanto 4.500 è ottimistico, secondo l’industria dell’auto. Perché l’ecotassa da versare all’atto della prima immatricolazione colpirà categorie di automobili che in gran parte non possono essere considerate di lusso, come una Fiat 500L 1.4 95 CV Cross che ha un prezzo di listino di 21.550 euro. O una Hyundai Tucson 1.6 GDI da 22.750 euro. Entrambe destinate a pagare 1.100 euro di ecotassa.

Il paradosso è che l’attuale crollo delle vendite di auto diesel (a gennaio -28,5%, pari a 31mila vetture mancanti rispetto al 2018) porterà a un innalzamento della media delle emissioni delle auto vendute, perché le ibride ed elettriche rappresentano una quota minimale, mentre le benzina, in crescita, hanno emissioni di CO2 più alte.

Va infine rilevato che gli italiani sono sempre più affezionati a suv e crossover, meno efficienti in termini di consumi ed emissioni rispetto a berline e station wagon. Difficile che l’ecotassa provochi un’inversione di tendenza.

Salvatore Saladino – Country manager di Dataforce Italia