Quando usciremo dall’emergenza, l’industria e il mercato dell’automobile avranno bisogno di provvedimenti ad hoc per ripartire. Sarebbe il momento giusto per impostare una politica fiscale e di incentivazione più efficace, magari allentando la pressione dell’elettrico a tutti i costi
di Salvatore Saladino, Country Manager Dataforce Italia
I numeri delle immatricolazioni di marzo, con circa 2 settimane di lockdown, sono stati drammatici per il mercato dell’automobile in Italia: 28.521 Passenger Cars immatricolate rispetto alle 194.962 del marzo precedente. Per capirci, se marzo è stato drammatico con un meno 85,37%, aprile sta viaggiando a meno 99%. Pur considerando un’ipotesi di ripresa nella seconda parte dell’anno, ben difficilmente nel 2020 si supererà un volume di immatricolazioni di 1.150.000 unità, con un regresso del 40%. Tutto ciò a voler essere ottimisti, ipotizzando l’uscita dall’emergenza entro fine maggio che, attenzione, non significherà ritorno alla normalità e ripresa, ma una riconfigurazione del nostro stile di vita e un rilancio economico lento e graduale che dovrà fare la conta dei sopravvissuti.
Il disastro politico
Nella situazione che stiamo vivendo, l’unico faro, l’unica luce guida avrebbe dovuto essere la politica. È la politica ad indirizzare e applicare le scelte, scelte che dovevano essere fatte ascoltando chi sapeva cosa stava succedendo. L’isteria e la raffica di messaggi inviati dalla classe dirigente sono stati il più delle volte ambigui, contrastanti, ignoranti, fuorvianti, pericolosi, inutili, stupidi fino poi ad adeguarsi e superarsi quando i politici si sono resi conto di raccogliere maggiori consensi a proteggere piuttosto che a lasciar liberi. Per non parlare di chi ha pensato che i decreti legislativi fossero come i post di Facebook, utilizzandoli di conseguenza.
Sperando di non dimenticare tutto questo quando cominceremo a uscirne, la domanda che tutti si fanno è come reagirà l’economia del Paese? Cosa sta facendo il Governo per attivare provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese e, nello specifico, per rilanciare un comparto, quello dell’automotive, che è uno dei maggiori produttori di Pil della nazione?
Le prime indicazioni che giungono dall’Esecutivo offrono un piccolo sostegno al reddito, l’estensione a tutte le tipologie di lavoratori dipendenti della cassa integrazione e modesti contributi economici alle imprese che hanno interrotto le attività a causa della pandemia.
Ovviamente troppo poco. E soprattutto, per quanto concerne il comparto automotive, nessun provvedimento ad hoc, nulla. Le Istituzioni sovra-nazionali, l’Unione europea in testa, marciano in ordine sparso, forse non ricordandosi il significato di “Comunità”. Sarebbe anche ora di andare ben oltre la discussione su come utilizzare il fondo salva-Stati e sulla legittimità o meno di emettere i cosiddetti “Corona-bond”. Non sarebbe il momento perfetto perché la BCE stampi carta-moneta, per dare liquidità immediatamente disponibile a famiglie e imprese accreditandola sui conti correnti? Non prestiti da rimborsare che significherebbero solo nuove tasse. Guidare una svalutazione dell’euro, per recuperare competitività nelle esportazioni ed accelerare la ripresa del mercato.
Una fiscalità europea e una moderazione della corsa all’elettrico
Per evitare il collasso dell’industria e del mercato dell’automobile, è urgentissima la seguente lista di interventi. In ambito produttivo, sarebbe opportuno concedere una moratoria, almeno per quest’anno, sulle sanzioni CO2: le Case Auto risparmierebbero miliardi di euro e salverebbero decine di migliaia di posti di lavoro. In ambito fiscale, sarebbe questo il momento per allineare finalmente la fiscalità auto italiana a quella applicata da Germania, Gran Bretagna e Spagna: 100% di deducibilità e detraibilità senza alcun limite. Con una misura del genere, non ci sarebbe nemmeno bisogno di incentivi per far ripartire il mercato dell’auto aziendale. Dovremmo anche fare una riflessione seria sull’opportunità di puntare esclusivamente sull’alimentazione elettrica per l’immediato futuro. La stragrande maggioranza dei consumatori non può permettersi di sostenere i costi di questo passaggio nei tempi imposti dalla politica. È necessaria una profonda revisione degli eco-bonus, per far posto a un piano coordinato di incentivi alla rottamazione e all’acquisto non solo di vetture nuove fino a 95 g/km (senza distinzione di alimentazione e anche km0) ma soprattutto includendo l’usato Euro5 o Euro6 a fronte della rottamazione di veicoli con almeno 10 anni di età. UNRAE, le Associazioni della filiera, l’ACI, tutti si stanno battendo per questo ma la politica è lenta o non ascolta. E male infine non sarebbe bloccare le azioni ingiustificate di limitazioni alla circolazione che gravissimi effetti hanno avuto sui consumatori e (dimostrazione dell’ignoranza di chi le impone) sull’aria che respiriamo, argomenti ormai tutti ampiamente dimostrati da prove scientifiche evidenti.
Chi rischia di più
Detto dei sostegni per la sopravvivenza del mercato auto, nessuno oggi attivo, occorre analizzare quali saranno i comparti più a rischio negli scenari del dopo Coronavirus.
Fra percettori di reddito privati e Partite IVA/Società sono queste ultime quelle più a rischio. Il blocco delle attività (ma non dei costi) lascerà in piedi solo quelle molto sane e con una grande riserva di liquidità. È evidente che la ripresa delle attività lavorative passerà necessariamente attraverso investimenti a tutela dei lavoratori e per un ritorno alla competitività sul mercato, piuttosto che verso il rinnovo del parco aziendale, tra l’altro rimasto in gran parte inattivo per mesi. Molte aziende o professionisti con contratti di noleggio a lungo termine stanno pensando di prolungare i contratti, senza cambiare i veicoli. Per chi acquista direttamente, la situazione potrebbe essere ancora peggiore: la scarsa liquidità e i bilanci sicuramente falcidiati dagli effetti del Covid-19 non permetteranno certo impegni ulteriori di nuovi leasing o finanziamenti. Per il noleggio a breve termine le prospettive sono le peggiori in assoluto, qui il crollo è stato verticale. La scarsa mobilità aziendale in ambito trasferte di lavoro è uno scenario facilmente prevedibile anche dopo la cosiddetta “fase 2” di quiescenza del morbo: sicuramente i viaggi rimarranno diradati per lungo tempo. Per non parlare del comparto leisure dei rent-a-car, che sarà ancora più colpito. Ben difficilmente quest’anno le nostre località turistiche saranno frequentate da ospiti stranieri e, anche per le nostre (al momento solo ipotizzabili) vacanze estive, si prevede una mobilità molto ridotta e comunque con mezzi propri.
Infine il car-sharing. Come è noto, la mobilità condivisa non produce utili per chi la offre. La riflessione sorge spontanea: possiamo permettercelo in questo scenario? E poi va considerato lo strascico (non solo) psicologico del contagio: quanti saranno disposti a utilizzare un’auto guidata fino a pochi minuti prima da uno sconosciuto?